Una recente analisi svolta da EY ha determinato che il primo semestre ha visto realizzarsi nel nostro Paese un volume di investimenti complessivi pari a poco meno di € 9,3 miliardi.
Non sorprende – conoscendo (e vivendo ancora) le incertezze scaricate dalla pandemia sull’economia – che sia il dato più basso registrato a partire dal 2009: pare che in particolare - come ovvio - sia il secondo trimestre ad aver abbassato il dato, dopo un primo trimestre in crescita.
Ora, proprio sugli investimenti si stanno concentrando le attenzioni delle imprese italiane: da una parte sono sia l’unica reazione possibile per aumentare competitività e penetrazione di chi li fa, dall’altro sono il segnale della ripartenza del business dei fornitori degli stessi.
Ma con quali risorse ed equilibri finanziari?
Su questo ci aiuta la fotografia fornita da Banca d’Italia (vedi news dedicata) che ha fornito i dati sull’intervento richiesto dalle Imprese al Fondo di Garanzia, che supera di poco a fine marzo i 155 miliardi.
Intervento di garanzia che è l'unica strada – oramai – per le pmi per ottenere un finanziamento bancario, che terrorizzato dalla reale sostenibilità delle stesse e della stessa tenuta dei propri conti non rilascia neanche un cenno di conforto senza avere una garanzia.
Ma se tale massa di garanzia concessa è (ai sensi delle regole covid) solo una quota dei finanziamenti concessi, come è possibile che a fronte di una dotazione di fonti eccezionali le imprese abbiano ridotti gli investimenti?
Beh, la spiegazione più evidente è quelle risorse, concedibili anche solo per la liquidità generica di impresa, hanno supportato in buona parte il sostenimento di costi ordinari in assenza delle fonti derivanti dagli ordinari ricavi, affossati dalla pandemia.
Se questo è il quadro, diciamo che la partenza vede una bella zavorra caratterizzare la corsa per la ripresa, perchè comunque una quota delle risorse generate dalle imprese nei prossimi anni dovranno essere destinate a coprire il disavanzo cui quei finanziamenti sono stati destinati.
Sempre dall’indagine EY leggiamo che le aziende hanno identificato quattro dimensioni strategiche su cui intervenire, funzionali a incrementare efficienza, produttività, resilienza:
La prima linea non fa altro – pur se richiama intenzioni più ampie e nobili - che confermare la corsa alla revisione dei costi che sta alimentando la battaglia contro le imprese più deboli – in termini contrattuali – per le riduzione dei costi di acquisizione: un circolo velenoso per queste, che riducendo i margini pregiudicano la propria capacità di generazione dei flussi da destinare anche al servizio del debito.
Mentre la seconda intenzione è più comprensibile e richiede invece ristrutturazioni profonde dei processi produttivi, la vera novità la si legge nelle ultime due dimensioni strategiche che realmente offrono un margine di conquista in efficienza e innovazione alla quasi generalità delle imprese.
Ma richiedono più di altre una capacità del management di intuire la necessità di farlo con qualità e selezione, e con capacità professionali che, forse tanto come le risorse finanziarie, iniziano a rappresentare una disponibilità limitata e quindi un correlato aumento dei suoi costi.